Rassegna Stampa

FRITTELLE DI UNA VOLTA NON SFRIGOLANO PIÙ – Vitoronzo Pastore

LE FRITTELLE DELLA NONNA

Negli anni ’50 alla vigilia dell’Immacolata in tutte le semplici abitazioni si scodellano frittelle. Gli studenti non vedono l’ora che la campanella della scuola annunci la fine delle lezioni, per affondare i denti nelle soffici frittelle. Chi zappa la terra, sega assi di legno o si sporca le mani nelle officine e nelle fabbriche, lancia una furtiva occhiata all’orologio. La luce è stata accesa prima che sorgesse il sole e la cucina ferve di preparativi. Il tavoliere, che normalmente viene usato una volta alla settimana per confezionare il pane, fa la sua apparizione in questo giorno. La sera precedente le mamme hanno provveduto a comprare gli ingredienti necessari per la preparazione delle frittelle. Ora, indossano una bianca bandana sulla testa, ed un grembiule protegge gonna e pullover. Intorno alla lampada della zona di lavoro svolazza un denso turbinio di pulviscolo bianco. Come per incanto un bianco cratere vulcanico spunta al centro della pianura di abete ed un rivoletto di tiepida acqua, leggermente salata, impregnata di disciolto lievito madre, scroscia timidamente da una brocca di vetro. Laboriose mani femminili impastano l’acqua con farina. Quando diventano appiccicose, una spolveratina di candida neve restituisce agilità e scioltezza. Finalmente si ottiene una montagnola mammellonare, un impasto, soffice come un seno muliebre, che rimane a riposo al calduccio sotto una spessa coperta di ruvida lana.

A metà mattinata, quando l’impasto si arricchisce di alveoli, si prelevano ritagli di pasta modellati in varie forme. Con somma cautela finiscono uno alla volta nella padella, colma di olio evo in ebollizione, dal quale sale una colonna di fumo che opacizza i vetri del balcone. Dopo il tuffo emergono le creste delle sfrigolanti frittelle, sempre più gonfie fino a diventare zattere in un ribollente mare dorato.

Di solito se ne producono due tipi, semplici o farciti con tonno, ricotta inacidita, mozzarella, polpette di ricotta intrisa di tuorlo d’uovo ed un composto di cipolle, pomodorini ed olive. Aperta la porta, una zaffata di fragranze orgogliosamente dà il buon giorno, e gli occhi si dilatano alla vista di frittelle che civettuole troneggiano sul tavolo della cucina o della stanza da pranzo. Non si provvede neanche a sciacquarsi le mani, prese da una smania incoercibile. Alcuni panzerotti, i primi ad essere raccolti, sono già freddi, altri, ancora tiepidi, e gli ultimi, che da poco sono finiti nella schiumarola scottano, mentre nella padella l’olio continua a gorgogliare allegramente. Tutta impolverata di farina e sudata all’inverosimile, la cara massaia continua a farcire gli ultimi ritagli di pasta.

Ora questa tradizione si va estinguendo. Il “progresso” incede a grandi falcate. Solo in qualche famiglia il bel costume antico permane. Molti preferiscono, abbandonando in soffitta mani, creatività e sani ingredienti, raggiungere una pizzeria, un panificio o una pasticceria. Saranno pure bravi, i pizzaioli, i panificatori ed i pasticcieri, ma le loro frittelle non possiederanno mai il gusto che hanno quelle preparate dalla mamma o dalla nonna. Per giunta non si respira profumata aria di festa per le strade, dove frotte di polveri sottili e nutriti nugoli di gas incombusti irrompono felici dai roventi tubi di scappamento.

Domenico D’Alba

  

Spalmate con ricotta forte, altri dicono con la ricotta piccante, a Casamassima nella nostra tradizione famigliare diciamo: ch’ la ricott ascuant

con una fetta di mortadella

con una fetta di prosciutto crudo e provolone piccante

BUON APPETITO CARI AMICI VICINI E LONTANI

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