I.M.I. Internati Militari Italiani

I.M.I. LA GIORNATA DEL PRIGIONIERO – Vitoronzo Pastore

La Giornata del Prigioniero

(dal diario del tenente colonnello Michele ABBADESSA)

Chi non l’ha vissuta non può farsi un concetto esatto di quello che effettivamente sia la vita trascorsa in un terreno cinto da diversi ordini reticolati, con altane provviste di proiettori e telefono, con sentinelle ogni 50 metri armate di fucile, di mitragliatrici e bombe a mano, in cui non si può agire, andare e venire a proprio beneplacito, dove non si può altro che pensare e non sempre esprimere quello che si pensa, dove la fame, a volte la più nera. È compagna inseparabile, dove non esistono comodità, né servitù, né pulizia, dove i malanni devono guarire per virtù propria mancando totalmente o quasi i medicamenti, dove se disgraziatamente uno è colpito da una malattia grave deve quasi sempre soccombere, dove non vi sono soddisfazioni morali né materiali, dove fortunatamente – per chi sa trovarla – vi è la speranza, l’unica e la sola.

La prigionia: questo cammino per ignota meta; viaggio coatto di un’anima umiliata ed afflitta per un luogo sconosciuto, sotto il peso morale e spirituale di pensieri cupi, di speranze che affiorano timide nell’animo quasi avessero la loro mancata, e per tanto sospirata ed attesa effettuazione.

Interrogativi, incertezze, sul come, dove, e quando terminerà il periodo di prigionia che avvinghia, lega, aggancia in modo atroce l’animo del prigioniero e non gli dà requie, che sempre lo richiama in modo brusco e violento alla triste realtà della attuale sua esistenza con tutte le sue miserie, con tutte le sue brutture materiali, morali e spirituali. Castigo provvidenziale per molte anime forma il crogiuolo della loro purificazione e della loro devozione a Dio, il ritorno a Lui per chiamarlo, ritrovarlo nell’ora del dolore, del distacco da quanto formò fino ad allora il substrato di una vita spensierata, di una esistenza lontana da colui che deve formare l’oggetto del nostro inevitabile ed immancabile ritorno: Dio – anima in pena; anima confortata; anima redenta traverso il dolore! Mirabile azione provvidenziale di Dio! Che dona luce e conforto, speranza.

Aspettando la sofferenza si questa nuova vita di sacrifici, di abnegazione e di rinuncia in ogni campo, anche il nostro cuore ne farà risultato purificato e nella giustizia dell’espiazione avremo sentito, come non mai, la voce del Signore. Dopo questa prova noi saremo diventati migliori e più tardi pensando al bene avuto, avremo benedetto i giorni della pena.

Eppure – né mi si dica che dico un paradosso – vi è un qualche cosa di peggiore ancora della stessa prigionia: la vita in comune.

La pena morale peggiore che si possa infliggere ad un uomo è appunto questa. Avete mai posto attenzione alle bestie che chiuse in certe casse, vengono spedite da una località ad altra? Tali sono gli uomini in prigionia, in cui è stata deliberatamente tolta ogni facoltà, libertà e personalità; costretti a vivere in spazio ristretto, costretti a tutto osare ed a ricorrere a tutti gli espedienti che mente umana possa escogitare per la difesa della propria esistenza, pronti al minimo cenno ed alla piccola occasione ad azzuffarsi fra loro, come altrettanti cani o gatti che fra di loro tentino di sottrarsi il cibo nel piatto; in un ambiente quindi indicatissimo per facilitare e formentare le varie malattie fisico-mentali. Una rappresentazione adeguata di tale vita potrebbe ricavarsi da uno qualsiasi dei giorni dell’inferno dantesco…

Stammlager l’incubo della memoria – Vitoronzo Pastore

 

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