Aviazione

L’IMPRESA DI CATTARO 1917- Vitoronzo Pastore

del 28 febbraio 2020

“C’era in noi un’allegrezza accorta e taciturna”

La notte del 4 ottobre 1917 una squadriglia di bombardieri ’Caproni’ al comando del maggiore Armani e di Gabriele D’Annunzio decollava da Gioia del Colle alla volta della base navale austroungarica di Cattaro, in Montenegro (fu scelto il giorno di San Francesco poiché dai marinai il poverello d’Assisi è ritenuto protettore delle traversate di mare). L’operazione, sulla carta proibitiva essendo ritenuta la base di Cattaro tecnicamente inviolabile, ebbe pieno successo. Fu un’impresa, non tanto per i danni arrecati alle installazioni militari, quanto per le difficoltà tecniche che i nostri aviatori dovettero affrontare (va premesso che quei biplani erano giunti a Gioia da Milano dopo un volo in due tappe con rifornimento a Roma contrastato da sfavorevolissime condizioni atmosferiche). L’ostacolo maggiore era rappresentato dal dover coprire 400 km d’Adriatico al buio, senza disporre d’alcun punto di riferimento. E una volta giunti a destinazione quegli aerei se la sarebbero vista con la contraerea nemica e l’ancor più insidioso gioco di correnti d’aria che la natura crea in quelle gole strette fra alte pareti rocciose a strapiombo sul mare. Per non dire della capacità dei serbatoi: il carico di benzina era appena sufficiente per andare e tornare; bastava un imprevisto a rendere concreto il rischio dell’ammaraggio. Tutto questo è raccontato dallo stesso D’Annunzio in un’intervista rilasciata al maggior quotidiano barese dell’epoca (dobbiamo la trascrizione di quella conversazione a Vitoronzo Pastore, il quale l’ha inserita in un suo libro recentemente edito da SUMA Editore: ‘Altruismo e parole d’altri tempi – 1915/1918’): “L’incursione mi è piaciuta più di qualunque altra per il suo carattere di avventura. Fu una vera e propria avventura di Ulisse. Avvistando la costa ciascuno di noi ebbe un’emozione misteriosa che non dimenticherà mai. I minuti passati nel riconoscere i luoghi tra la foschia e il bagliore ingannevole della luna, contano per me tra i più lirici del mio spirito. Non cederei per nessun altro ricordo di gioia e bellezza il palpito che io ebbi riconoscendo la punta Arza e la punta dell’Ostro. C’era in noi un’allegrezza accorta e taciturna, quale doveva essere quella di Odisseo, mentre colpivamo il nemico nel sonno. Il giuoco incerto delle luci (i fasci di luce dei riflettori abbinati alle postazioni antiaeree – n.d.r.) ci faceva ridere omericamente sui nostri seggiolini. Io mi voltavo verso i miei piloti e rivedevo la loro bella ilarità giovanile attraverso le loro maschere strane. E che dirò del ritorno? Che dirò del momento i cui scorgemmo un lembo sottile della riva? Fu come un rapimento d’amore. Pareva una patria vergine, come quella che strappò alla nave d’Acate il grido: Italia! Italia!”

Italo Interesse

 

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